
PER GIUSEPPE CAMBIANO
Nato a Torino nel 1941, Giuseppe Cambiano aveva studiato nell’Università della sua città e si era laureato con Nicola Abbagnano, il maestro al quale rimase sempre profondamente legato e che ebbe notevole importanza per lui anche dal punto di vista delle prospettive teoriche. L’interesse per la scienza e per la tecnica – al centro di alcuni suoi fondamentali contributi sulla filosofia antica – risale per molti aspetti al clima filosofico del ‘neoilluminismo’, che aveva avuto proprio a Torino uno dei suoi principali centri di riferimento.
Centrale però per Cambiano fu anche un’altra figura straordinaria di filosofo, Pietro Chiodi, di cui fu assistente e del quale pubblicò poi per le Edizioni della Normale una raccolta di scritti intitolata Esistenzialismo e filosofia contemporanea, premettendovi un saggio assai importante. Alla base dell’interesse di Cambiano per il pensiero del Novecento e per Heidegger ci fu, dunque, anche il rapporto con Chiodi – un pensatore purtroppo poco ricordato – che, come è noto, pubblicò la prima traduzione in italiano di Essere e tempo, diventata ormai un vero e proprio classico. Un grande filosofo, che era stato anche partigiano, autore del più bel libro sulla Resistenza, Banditi, e presente nel Partigiano Johnny di Fenoglio, nel quale è rappresentato nel personaggio di Monti. E si ricorda questo per indicare le radici etico-politiche del mondo al quale Cambiano restò sempre fedele, in modo sobrio, senza alzare mai la voce, ma in maniera intransigente, senza mai arretrare di un passo.
Nell’Università di Torino ci furono anche altri maestri che lo colpirono molto e di cui conservò a lungo il ricordo: Franco Venturi e Walter Maturi – uno dei più grandi storici del Novecento, anche lui purtroppo dimenticato –, di cui amava spesso ricordare, sorridendo, le straordinarie capacità didattiche nel coinvolgere gli studenti nelle sue memorabili lezioni sulle Interpretazioni del Risorgimento, come si intitola il libro pubblicato dall’editore Einaudi nel 1962: un capolavoro di dottrina e di intelligenza storica.
Nell’Università nella quale si era formato, insegnò a lungo, prima come incaricato, poi dal 1975 come professore ordinario di Storia della filosofia antica; si trasferì poi a Pisa, nel 2003, insegnandovi la stessa disciplina alla Scuola Normale Superiore, negli anni della direzione innovativa e coraggiosa di Salvatore Settis, e formò una generazione di antichisti con lezioni di cui non si è ancora perso il ricordo. La scelta di andare alla Normale, distaccandosi da Torino, non era casuale o improvvisata. Tutt’altro. Conosceva quel mondo assai bene, fin da quando aveva seguito i leggendari seminari che nella Scuola teneva Arnaldo Momigliano, il quale ne aveva grande stima. E all’ambiente della Scuola rimase legato fino alla fine, diventandone professore emerito nel 2012, sempre disposto quando era invitato a tornarvi e a tenervi lezioni o seminari. Un legame speciale aveva poi con le Edizioni della Scuola, che, oltre ad accoglierne suggerimenti preziosi, pubblicarono alcuni dei suoi testi più importanti – da ultimo un libro di particolare originalità, discusso anche nella nostra Accademia: La scienza e l’irrazionale. Immagini storiografiche della Grecia antica (2021).
Cambiano è stato socio dell’Accademia dei Lincei (corrispondente dal 2007, nazionale dal 2015) e dell’Accademia delle Scienze di Torino, è stato consigliere dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento e ha avuto sempre molti contatti con i maggiori studiosi della filosofia antica a livello internazionale contribuendo anche, come avvenne nel caso di Lloyd e Sivin, a farne conoscere l’opera in Italia. È stato anche direttore della rivista Antiquorum philosophia e ha avuto, fra gli altri, il merito di aprire gli studi della filosofia antica a realtà differenti da quella europea, a cominciare dalla Cina.
Come testimonia la sua bibliografia, è stato senza alcun dubbio uno dei maggiori studiosi della filosofia antica nell’ultimo cinquantennio; ma non si è interessato solamente dei maggiori rappresentanti del pensiero classico, scrivendo su di essi pagine esemplari per forza innovativa e apertura teorica. Riallacciandosi alla lezione di Arnaldo Momigliano, ha studiato in modo costante la fortuna della tradizione classica nel mondo moderno, con una forte attenzione alla dimensione della storia della storiografia e qui certo può avere avuto un ruolo nello stimolare questo interesse la lezione di Walter Maturi): basta pensare al volume pubblicato nel 2016 Filosofia italiana e pensiero antico, nel quale sono raccolti una serie di notevoli saggi su alcuni dei principali interpreti contemporanei del mondo antico – da Labriola ad Abbagnano, da Garin a Momigliano, con un’utile prefazione nella quale spiega perché coltivasse questo tipo di ricerche: «Percorrendo un itinerario, succede a volte di soffermarsi a guardare il paesaggio alle proprie spalle per vedere quale sentiero è stato scelto e quali invece sono stati abbandonati, anche se talora già percorsi da altri. Così è anche – scriveva – per lo studio della filosofia antica e per gli usi che di essa sono stati fatti». Parole nelle quali non è difficile intravedere, accanto a quella di Momigliano e Maturi, l’eco della lezione di Croce al quale, nel volume, dedicava un apposito saggio: Su Croce e la storia della storiografia.
In questo campo di studi Cambiano ha dato importanti contributi, nei quali ha mostrato come molti intellettuali italiani ed europei abbiano guardato alle esperienze della politica antica di Greci e Romani, e fra essi merita ricordare il volume pubblicato dal Mulino nel 2018 I moderni e la politica degli antichi; ma fra tutti spicca il libro Polis. Un modello per la cultura europea (2000), nel quale cerca «di delineare […] una storia di lunga durata, ma – precisa subito, e qui s’intravede il suo stile e, vorrei dire, il suo ethos di studioso consapevole della complessità del problema – non una storia globale, che pretenda di aver coperto tutte le aree geografiche europee e tutti i momenti cronologici che scandiscono un periodo che va dal Quattrocento al Settecento, tantomeno tutti gli autori che furono implicati in questa vicenda» (ed è appena il caso di sottolineare che quella periodizzazione – dal Quattrocento al Settecento – riprende quella proposta da Cantimori nel 1955 nel grande saggio sulla Periodizzazione del Rinascimento).
Il libro, nel quale risaltano le pagine dedicate a Machiavelli e a Guicciardini, a Bodin e a Harrington, fu tradotto subito anche in francese, anche per l’attualità del problema che poneva: quale consistenza avesse il ‘ritorno’, nel dibattito politico, della Grecia antica, concepita come uno degli ‘antenati’ dell’Europa contemporanea. Ed è un altro tratto che distingue la personalità di Cambiano come studioso: analisi scrupolosa, la più accurata possibile – dei testi del pensiero antico, dei pensatori che li sviluppano –, ma a muovere sempre da problemi e domande che nascono dal presente, dal mondo contemporaneo, che si vuole cercare di decifrare stabilendo un circolo virtuoso fra passato e presente, fra storia e politica. Attentissimo ai testi, sempre al centro delle sue lezioni, all’analisi del lessico, dei termini – a cominciare da polis –, il problema alle origini delle sue ricerche è sempre in primo luogo filosofico, e, in senso alto, politico.
Cambiano è stato uno studioso laboriosissimo e ha pubblicato numerosi e importanti volumi sostanzialmente negli ambiti ricordati, e che può essere utile riepilogare: la storia della filosofia antica, con particolare riferimento a Platone, di cui giovanissimo tradusse i dialoghi filosofici per scelta di Nicola Abbagnano, che decise di affidare un compito da far tremare le vene e i polsi a un allievo, da poco laureto, di cui aveva inteso le capacità. A Platone e ad Aristotele ha dedicato numerosissimi saggi e anche un altro importante libro, Come nave in tempesta. Il governo della repubblica in Platone e Aristotele. Quest’ultimo, Aristotele, è stato fino alla fine al centro dei suoi interessi: l’ultimo suo lavoro è appunto su Aristotele e la tecnica, ed è un libro che chiude il cerchio aperto, quando era giovane, con la pubblicazione del volume Platone e le tecniche.
Ma il tema della tecnica e della scienza, con particolare riferimento al mondo antico, è stato, si è già detto, al centro di tutto il suo lavoro, come appare con speciale chiarezza dai saggi sulla scienza antica raccolti nel volume Figure, macchine, sogni pubblicato nel 2006 dalle Edizioni di Storia e Letteratura, nel quale spicca per originalità il saggio Automaton, con un’analisi che dai testi antichi arriva fino alla Proposta di premi fatta dall’Accademia dei sillografi, un’operetta di Giacomo Leopardi.
Un secondo campo di ricerca è costituito dalla storia della storiografia e dalla fortuna dei classici, con la messa in questione di antiche immagini della filosofia europea quali erano state elaborate da una grande tradizione sia filosofica che letteraria. E in questo ambito Cambiano ha pubblicato uno dei suoi libri più belli e originali, Filosofia greca e identità dell’Occidente (2022), un massiccio volume, frutto del lavoro di una vita, in cui svolge un vero e proprio lavoro di ‘critica dell’ideologia’, mostrando sulla base di un’eccezionale varietà di testimonianze che l’identità europea è «l’esito di una vicenda complessa, è un’identità plurima in continuo movimento, tutt’altro che monolitica ed uniforme». Congiungendo filosofia e filologia, come era proprio del suo metodo e della sua concezione della storia della filosofia, tutt’altro che inerte e muta dal punto di vista teorico, Cambiano in questo volume si è dunque distanziato dalla tesi secondo cui la filosofia è una dimensione specifica della Grecia accolta poi dall’Europa e dall’Occidente come segno identitario: questa, scrive, è solo una costruzione storica, l’invenzione di una tradizione. E in queste battute si rivelano due aspetti tipici del lavoro di Cambiano. Compito dello storico è misurarsi con mente aperta e strumenti adeguati con il passato, destrutturandolo e cercando di decifrarlo per quello che è stato, liberando il terreno dalle antiche tradizioni – che hanno anch’esse un grande valore, quando non diventano pietre d’inciampo che ostruiscono il cammino (e qui è decisiva la funzione della storia della storiografia); e per far questo è necessario elaborare problemi, domande che consentano di guardare al passato da nuovi punti di vista, oltre le tradizioni. Una storia della filosofia che non ponga problemi, che non sia, in modi propri, anche filosofia è un esercizio sterile, inerte. Il rapporto con il passato è una questione di conoscenza, e per questo ci vuole pensiero, filosofia, capacità di porre problemi, domande. Se non si capisce questo, se non si pongono problemi, il passato è un deserto senza vita.
Un ulteriore tratto del lavoro di Cambiano, si è già sottolineato, è costituito dall’attenzione per il pensiero contemporaneo e anche in questo campo ha dato contributi di grande rilievo, discutendo del rapporto fra ermeneutica e filologia, di Gadamer e anche di Heidegger. Ma a questo proposito va fatta un’altra riflessione. Uomo del suo tempo, curioso, amante della vita, era molto interessato alla diffusione della cultura in generale e, in modo particolare, dei classici: Perché leggere i classici si intitola appunto un suo lavoro del 2010 e Sette ragioni per amare la filosofia si chiama un altro suo importante libro dedicato soprattutto ai giovani – opere dalle quali risulta la dimensione propriamente civile, etica di un grande studioso formatosi alla scuola di Pietro Chiodi e di Nicola Abbagnano, nella Torino di Norberto Bobbio, della «Rivista di filosofia».
Cambiano, intrecciando filologia e filosofia, politica e storia, ci ha lasciato un’eredità di cui avere cura. Ma quando si allontana da noi una figura così ricca, complessa e originale, è forte il rimpianto per tutto quello che avrebbe ancora potuto dare. E il rimpianto diventa più forte quando si comprende che gli uomini non sono sostituibili e che quel vuoto non potrà essere riempito.

