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La costruzione della UE e il piano Macron-Merkel

La costruzione dell’UE e il piano Macron-Merkel

Documento della Commissione Europa 

Rispetto a coloro che denunciano di frequente la comparsa di “crisi” che metterebbero a rischio l’intera costruzione dell’Unione Europea e che denunciano qualsiasi battuta d’arresto come l’inizio di quella crisi, noi sosteniamo e crediamo di potere documentare che nel corso dei settant’anni della sua esistenza, l’Europa ha sempre fatto passi avanti, più o meno lunghi, e non è mai regredita. Crediamo anche che ogniqualvolta in cui si verifica un fenomeno di una qualche importanza sia utile analizzarlo non soltanto in sé, con i suoi presupposti e le sue implicazioni, ma nel contesto. E’ giusto guardare di volta in volta ad un albero piuttosto che ad un altro, ma è sbagliato e improduttivo limitare la propria attenzione e non estendere lo sguardo alla foresta. L’importanza e l’impatto di quell’albero appariranno più chiaramente e potranno essere meglio valutati da chi vede e conosce la foresta. Il quadro interpretativo che proponiamo ci pare particolarmente utile per analizzare, spiegare e valutare tutti provvedimenti economici presi dagli organismi europei per contrastare il tremendo impatto del Covid-19 sull’economia e la società dell’Eurozona e dei singoli Stati-membri. In questa ottica abbiamo maturato la convinzione che l’accordo raggiunto fra il Presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel di proporre al Consiglio europeo del 18-19 giugno uno European Recovery Fund (quali che siano i risultati della proposta, perché è nota l’opposizione di Austria, Belgio, Olanda e Svezia), costituisca un evento di grande rilievo, non adeguatamente presentato all’opinione pubblica italiana. Più precisamente un passo di grande significato innovativo per la visione solidaristica del processo di integrazione Europea che, i leader dei due maggiori membri dell’UE mostrano oggi di avere raggiunto. Desideriamo anche ricordare, che da almeno un trentennio a questa parte, l’intesa franco-tedesca ha rappresentato, in modo non ufficiale ma ben evidente, il fattore di coesione probabilmente più rilevante dell’UE.

Se vogliamo capirne di più, conviene avere presenti le motivazioni e i valori ideali che hanno animato i padri fondatori. La Comunità Europea fu istituita nel 1957 con il Trattato di Roma, concluso tra sei paesi, ma era stata preceduta nel 1951 dalla CECA, Comunità europea del carbone e dell’acciaio. In quelle prime organizzazioni stava l’idea di comunità delle risorse, che con la nascita dell’UE si combinò con quella del mercato comune, con la volontà di avviare politiche per l’appunto comuni nei settori dei trasporti, dell’impegno sociale, degli investimenti (Fondo sociale Europeo e Banca Europea degli Investimenti) e con la decisione di dare avvio alla costituzione di istituzioni comuni.

Si traducevano in questo modo, tecnicamente, in una prima, lunga, ma essenziale, fase le idee funzionaliste, ma, al tempo stesso, si esprimeva già anche una forte idea di solidarietà da parte di paesi e di popoli che per secoli avevano sì dato vita a una storia comune, ma che si erano scontrati in guerre crudeli e frequenti, confluite nella Seconda guerra mondiale, la più distruttiva. La lezione, (quasi) definitivamente appresa è stata quella di dare vita e corpo ad un progetto di convivenza pacifica nella ricerca di un benessere comune: “pace e prosperità”.

Conosciamo l’evoluzione precedente, ma è sempre utile sottolineare i momenti più importanti fra i quali, punto d’approdo di una lunga fase preparatoria (concretamente avviata nel 1990) è l’introduzione materiale della moneta unica, nel 2002, una tappa di grande valore simbolico, a livello non solo europeo, ma mondiale, che ha costretto a un salto istituzionale. Dei ventisette Stati-membri della UE ben diciannove hanno come moneta l’Euro. Si sono aperte grandi possibilità (una moneta competitiva con il dollaro), ma sono anche cresciute le tensioni tra Stati-membri che si distinguono in forti e deboli (i primi, virtuosi, che manifestano una crescita persistente, i secondi deboli, ostacolati da un pesante debito pubblico e costretti a politiche di contenimento della domanda pubblica dal Patto di stabilità e crescita del 1997).

La situazione odierna appare risultato di numerosi fattori. La crisi prima finanziaria poi reale del 2008, non è pienamente superata da diversi paesi dell’UE, in particolare dall’Italia. Classi medie impoverite e disoccupati presenti in molte famiglie sono tra le prime cause di un sentimento di delusione verso i partiti di governo giudicati responsabili. Anche le istituzioni europee, troppo lente ad immaginare e ad attuare politiche di risanamento sono accomunate dal sentimento di delusione. E’ il terreno favorevole all’affermazione dei partiti cosiddetti sovranisti, che devono peraltro il loro successo anche all’individualismo sbandierato e quasi imposto dal presidente americano, dal sistematico attacco alle istituzioni internazionali multilaterali, alla stessa legalità internazionale, da una visione “castale” della società, dove ci sono i primi e gli “altri” tra cui i migranti e quelli che fuggono dalle guerre combattute in casa loro. Si aggiunga la triste vicenda della Brexit, il riarmo a livello internazionale, il proseguimento di guerre locali, sanguinose e drammatiche, senza la percezione di sforzi seri per risolvere situazioni incancrenite.

Infine, l’esperienza della grande epidemia COVID-19 mette in evidenza lentezza e deficienze organizzative dei governi regionali, nazionali, e della stessa UE, concorrendo a diffondere il dubbio, anche se infondato, che il processo di integrazione europea sia asfittico. Lo European Recovery Fund è uno strumento molto innovativo. Per coglierne appieno l’importanza bisogna collocarlo nell’ambito dei provvedimenti già presi in sede europea: la sospensione del Patto di Stabilità e crescita, la decisione di consentire che il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) metta a disposizione degli Stati-membri ingenti fondi (per l’Italia fino a 36 miliardi di Euro) senza condizionalità purché utilizzati per “spese sanitarie dirette e indirette”, una cospicua disponibilità di acquisto di titoli del debito pubblico nazionali da parte della Banca Centrale Europea. A queste decisioni si aggiunge la recentissima proposta, da parte della Commissione, di istituire SURE (Supporting Unemployment Risks in an Emergency) un programma dotato di 100 miliardi per il rafforzamento dei programmi dei singoli paesi membri volto ad affrontare i rischi di disoccupazione conseguenti all’emergenza COVID-19.

L’accordo raggiunto tra Macron e Merkel conferma quanto da tempo sappiamo. E’ vero che una cooperazione molto stretta fra i due più importanti Stati-membri l’Unione da sola non basta. E’ altrettanto vero che l’Italia perde spesso l’occasione, per una molteplicità di ragioni che varrà la pena esplorare in altra, apposita sede, di inserirsi con le sue proposte. In questo caso, però, bisognerebbe rivendicare quantomeno l’ambiziosa idea più volte avanzata da studiosi italiani e recentemente fatta propria dal governo italiano a favore dell’emissione di Eurobond. Non possiamo dire se la cifra proposta da Francia e Germania: 500 miliardi di Euro, sarà il punto di approdo di un difficile processo di inevitabile contrattazione tra colombe e falchi all’interno del Consiglio dei capi di Sato e di governo degli Stati-membri. Sono già state espresse riserve e vere e proprie contrarietà che potrebbe essere valutate come basi di partenza per un negoziato difficile e teso, ma che tutti sono consapevoli debba chiudersi in tempi stretti e con un esito positivo, anche se non definitivo. Probabilmente, costituirà il punto di partenza per andare oltre obbligati dalle dure e rapide repliche della storia.

Il Recovery Fund rappresenta una rottura con il passato recente e meno recente. Rappresenta un ritorno alla grande visione iniziale del processo di costruzione dell’Europa unita, in particolare perché il piano è proposto non da membri marginali dell’UE, ma da quelli di maggior peso che, certamente si faranno valere, oltre che per ragioni di sostanza, anche per ragioni di prestigio. Almeno nella proposta iniziale, il piano prevede un fondo comune da finanziare con un prestito di lunga durata emesso dalla Commissione Europea con garanzia del bilancio europeo la cui destinazione è determinata esclusivamente dal bisogno (non dalla contribuzione). Quello che succederà dipende anche dai meccanismi decisionali del Consiglio. Su questa materia vale, tuttora, purtroppo, il principio dell’unanimità. E’ auspicabile che il suo superamento avvenga a breve termine poiché costituisce un pre-requisito per dare più slancio all’Unione Europea. Qui, trattandosi di un discorso molto complesso, ci limitiamo a dire che le votazioni all’unanimità sono poco o punto democratiche. Infatti, consentono a un solo dissenziente di bloccare decisioni che maggioranze molto ampie vorrebbero prendere. Offre a quel dissenziente, qualunque sia il suo peso economico e politico, un notevole potere di ricatto che male si combina con l’idea di una Unione fra stati all’insegna della solidarietà. La discussione e (le modalità dell’approvazione del Recovery Fund) potranno anche spingere nella direzione della riduzione delle materie sulle quali è ancora richiesta l’unanimità. L’Unione Europea ha l’opportunità di fare un altro passo avanti. Da monitorare.

26 maggio 2020

 

 

I pareri espressi dalle Commissioni Lincee rientrano nella loro autonoma responsabilità.

 

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Autore: 
Commissione Europa
Data: 
26/05/2020
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