DDL_908 Agricoltura biologica e biodinamica
Il Senato della Repubblica ha approvato, con modificazioni, il DDL 908 “Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con il metodo biologico”, già approvato dalla Camera dei Deputati. Le modificazioni introdotte comportano una sua seconda lettura alla Camera. La discussione in Senato ha visto la contrapposizione di posizioni radicalmente opposte sull’ Agricoltura biodinamica. Su questo tema, l’Accademia nazionale dei Lincei si riconosce nelle parole e concetti espressi dalla Senatrice Cattaneo, socia dell’Accademia. È impressione che la pur necessaria discussione sull’agricoltura biodinamica abbia in parte oscurato, se non evitato, di approfondire alcuni aspetti sul tema Agricoltura e Produzione di derrate alimentari sufficienti e salubri, aspetti che dovrebbero, invece, essere fondamentali ispiratori di corrette politiche di governo.
Le stime delle necessità alimentari globali indicano che, nel 2050, l’agricoltura mondiale dovrà produrre una quantità di alimenti superiore del 70% di quella attualmente disponibile. Le ragioni sono note: aumento delle popolazioni e modifiche nelle abitudini alimentari che, specialmente nei paesi in via di sviluppo, tendono a un maggiore uso di proteine e calorie animali. Da qui la domanda di come conciliare la produzione di derrate alimentari con abitanti da nutrire, sistemi agricoli sostenibili, derrate più ricche, cambiamenti climatici, uso dell’acqua, produzione di energia verde, organizzazione e bisogni della società. Non esistono risposte certe, se non che la disponibilità di alimenti potrebbe sperimentare gravi stati di crisi globali e nazionali. Inoltre, a preoccupare è in che misura una crisi di questo tipo possa incidere sulla sovranità alimentare di un paese, come l’Italia, che importa oltre il 38% delle calorie e proteine consumate dai suoi abitanti. Se una crisi globale dovesse aprirsi, l’Italia, più di altri paesi, subirebbe conseguenze di difficile soluzione: una pandemia da carenza di cibo avrebbe effetti più gravi di quella da Covid, specialmente se concomitanti eventi, come annate a bassa produzione dei campi, dovessero sommarsi a rendere critici se non impossibili gli approvvigionamenti per importazione.
Sarebbe, per esempio, interessante sapere se il CIPESS e il MPAAF abbiano documenti e/o programmi sull’esistenza e gestione delle scorte alimentari: un tema particolarmente caldo ai tempi della guerra fredda, quando l’eventualità di un inverno nucleare seguito da raccolti bassi o nulli era considerata con attenzione. Esistono e a quanto ammontano le scorte italiane? Chi le detiene? Chi le controlla? Chi, come e da dove si importa? Quali azioni sono previste se, malauguratamente, si entrasse in uno stato di crisi?
La modifica delle abitudini alimentari umane verso un consumo più corretto e accorto dei prodotti animali è oggi una necessità mondiale inderogabile. Se l’auspicio che una parte significativa delle proteine animali venga sostituita da proteine vegetali dovesse essere realizzato, la disponibilità di alimenti aumenterebbe del 25%. È una misura difficile e lenta da mettere in atto: i sistemi produttivi agricoli e di trasformazione dei prodotti derivati sono particolarmente resistenti ai cambiamenti e, in aggiunta, si dovrebbero convincere milioni di agricoltori e miliardi di consumatori. In Italia, questo potrebbe essere l’obiettivo delle azioni di informazione e formazione che il DDL prevede debba essere operato da parte delle istituzioni ed enti pubblici italiani, comprese le scuole. Anche la ricerca tesa all’aumento della produzione di specie agricole produttrici di proteine (specie che, come le leguminose, hanno ancora una bassa produttività per unità di terra coltivata pur essendo azotofissatrici) può e deve essere meglio sostenuta.
Il periodo storico che viviamo, per importanti ragioni impone di adottare sistemi agricoli colturali diversi da quelli attuali: lo impongono le considerazioni dei rapporti tra agricoltura e ambiente. L’agricoltura deve perciò considerare una evoluzione verso forme ecologicamente ed economicamente sostenibili. Ma contestualmente deve rimanere produttiva, se si vuole evitare di mettere in coltura nuove terre vergini (attualmente, nel mondo, vengono messe in coltivazione oltre 10 milioni di ettari, ogni anno; sono terre spesso marginali che ospitano particolari forme di biodiversità). Se incentivata, la ricerca può contribuire a proporre nuovi sistemi colturali, mettendo a punto varietà di cereali e/o leguminose perenni che evitino le arature, immuni da attacchi di agenti patogeni e fitofagi per limitare l’uso di agrochimici, diano derrate più adatte all’alimentazione per contenuto proteico e aminoacidi essenziali. L’agricoltura biologica, oggetto del DDL, può essere considerata un’evoluzione positiva sulla strada dei miglioramenti dei sistemi; lo sarebbe ancor di più se volesse affrontare, in modo ecologicamente sostenibile, i problemi posti dalla difesa da infestanti, parassiti e patogeni, dalla necessità di soddisfare il bisogno di elementi nutritivi per la pianta, dalla limitata disponibilità di varietà frugali; essa tende, infatti e purtroppo, a privilegiare concetti e pratiche del passato, quando invece dovrebbe aprirsi alle innovazioni e correttamente valutare, dal punto di vista scientifico, come rendersi più competitiva a livello produttivo.
La superficie agraria italiana arata è circa il 35% della superficie nazionale. È una percentuale molto diversa da quelle dei paesi centro-europei dove le terre coltivate producono derrate agricole di base anche per l’esportazione. La nostra situazione è simile a quella di Cina e Giappone, importatori cronici di cereali data l’insufficienza della loro agricoltura. In questa situazione, è difficile accettare per l’Italia proposte di sostenibilità agricola basate su sistemi colturali meno intensivi: i terrazzamenti di una volta sono stati quasi tutti abbandonati, la superficie forestale è aumentata di 2 milione di ettari, il piano di intervento governativo (PNRR) prevede la sottrazione, a fini di produzione energetica, di almeno 200.000 mila ettari di terreno agrario. Abbassare la resa di derrate per unità di suolo coltivata significherebbe espandere le coltivazioni su terreni non disponibili. Ma la soluzione di aumentare l’importazione di derrate agricole significherebbe anche esportare i problemi ambientali: la superficie dei pascoli argentini si è dimezzata per fare spazio alle derrate da esportazione; per la stessa ragione vengono abbattute parti della foresta amazzonica. Sembra allora logico che l’Italia debba reagire con la proposta di azioni di governo tendenti allo sviluppo di sistemi agricoli produttivi ed ecologicamente sostenbili, adatti alle diverse condizioni ambientali del territorio: attenzione alle colture per derrate utili ad una conversione degli stili alimentari; pratiche agronomiche che permettano la conservazione di residui naturistici ( siepi, alberature, cespugli, fossati di sgrondo e altri corridoi di continuità biologica); bio-pesticidi; piante perenni immuni da malattie; agricoltura di precisione e adozione di principi di agro-ecologia e agro-biodiversità.
Lo sviluppo di nuovi sistemi agricoli dovrà allinearsi a principi e metodi che allo stato attuale spesso non hanno ancora un fondamento scientifico certo dei contenuti che vogliono rappresentare. In questa situazione, più che puntare sulla ricerca per dimostrare la bontà di una pratica agricola, sembra necessario potenziare la ricerca di base per coprire lo iato conoscitivo necessario a sviluppare, con fiducia, tecnologie, metodi e strategie adatti alle situazioni italiane, tali da poter affrontare con meno ansia il futuro.
I pareri espressi dalle Commissioni Lincee rientrano nella loro autonoma responsabilità.